Fotografare

Anni di greco antico mi hanno lasciato un grande amore per le parole, nato già quando la mia prof delle medie, gran donna, ci faceva giocare con le etimologie; ma qualche volta c’è qualche parola meravigliosa che mi sfugge, e solo oggi realizzo qual è il vero significato della parola fotografare: scrivere con la luce.

A volte ho l’impressione che le parole, da sole, non siano sufficienti per rappresentare la realtà non tanto per quello che è, ma per come è ai miei occhi, e solo per me. Ho bisogno di qualcosa di immediato che arrivi dritto al dunque.

Da dopo la laurea,sempre in quell’ottica di ritrovare i miei spazi di cui ho parlato post fa, seguo un corso di fotografia insieme ad una cara amica, visto che per quanto mi riguarda oltre gli scatti in auto non si va, e a volte anche per rendere decenti quelli serve l’aiuto del computer. Soprattutto, parto da una necessità che sento forte dentro di me, cioè celebrare il qui e ora a cui mi aggrappo di questi tempi, gustandomi ogni attimo senza pensare troppo…uno stato di quiete che non provavo, probabilmente, da mai. Mi sembra che fotografare sia perfetto per questo scopo.

Mentalmente, scatto al giorno decine di foto,ovunque, ma quello che  vedo lascia traccia solo sulla mia personale pellicola. Dispongo di un obiettivo malconcio, la mia cornea astigmatica, di un diaframma dall’iride scuro e una retina che si impressiona molto facilmente, ma troppi pochi giga per contenere questi scatti.

Voglio andare a caccia della bellezza e intrappolarla, rubare luce e colore e racchiuderli in un rettangolo dove c’è tutto quello che basta, per me.

Ci sono più modi di cominciare.

Quando hai imparato a padroneggiare la tecnica puoi fotografare qualsiasi cosa. Tutto ciò è molto difficile: sto familiarizzando con i numeri che vedo sul display della reflex e che non hanno niente di emozionale ma sono pura fisica e matematica, ma dal loro gioco perfetto dipende la riuscita di questa ricerca. Sto imparando a giocare con il tempo, trasformando l’acqua di una fontana in gocce immobili sospese in aria o in farina che scorre lenta, imparo a gestire il colore per renderlo più ricco e simile a quello che vedo. In qualche modo sto imparando a guardare di nuovo, un po’ come quando a sei anni mi hanno messo gli occhiali e ho scoperto che il mondo era molto più nitido di quello che conoscevo.

I primi tentativi sono abbastanza disastrosi, ma capisco che già qualcosa sta cambiando nel mio modo di vedere.

Prima devi imparare a guardare, ti devi fare l’occhio. La tecnica viene dopo. Questo è un esercizio che faccio da tempo, ma noto che con una macchina fotografica al collo si diventa più intensi in questa ricerca, e una passeggiata ad un’ora insolita nelle stesse vie che percorro da sempre svela particolari mai notati prima che ti viene voglia di fissare.

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Nasce la curiosità di cambiare strada per scoprire cosa c’è nel vicolo vicino, di infilarti in un giardinetto dove non passi dai tempi dell’asilo perché ti accorgi che è un piccolo Canada.


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E poi trovi il Mago delle bolle e passi un’ora intera a cercare di catturare un suo sorriso.

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