Grenadines: nuotare con le tartarughe

Questo primo post del 2019 ha una lunga storia: l’ho scritto circa un anno fa, di ritorno dal nostro viaggio ai Caraibi, ma poi è restato fra le bozze per mesi e mesi. Nonostante avessi tanta voglia di condividere il racconto della nostra avventura e delle tante riflessioni che ha fatto nascere, non mi sono decisa a pubblicarlo fino ad oggi, a un anno dalla nostra partenza. Infatti, se oggi devo lottare per ritagliarmi qualche ora libera dal lavoro per poter accendere il pc e scrivere, un anno fa esatto ce ne stavamo a fare snorkeling in qualche bel posto! Insomma, non è mai troppo tardi per ricordare queste belle giornate passate a giocare ai pirati!

Il 2018 è stato un anno fortunato e ricchissimo per quanto riguarda la mia passione per i viaggi, diventata ormai una vera necessità. Siamo stati ai Caraibi, mi sono finalmente ricongiunta (è stato come ritrovare una casa, anche se la visitavo per la prima volta) alla mia magnifica verde Irlanda, e abbiamo scoperto le isole della Croazia in barca, una sorpresa unica, fra incontri con i delfini e tramonti uno più bello dell’altro; ma per viaggio io  intendo anche un tranquillo weekend poco lontano, come quello trascorso a Palermo di settembre a goderci gli ultimi stralci d’estate e mangiare ogni tipo possibile di streetfood siciliano.

Per questo inizio del nuovo anno, l’augurio che faccio a me stessa, e a voi (pochissimi) che mi leggete, è di avere tanta fame di scoprire il bello, di guardare i piccoli particolari, di emozionarsi davanti alla natura, e di potervi saziare viaggiando il più possibile!

Buona lettura e buon 2019! 

Il mio duemiladiciotto è cominciato nel migliore dei modi: in viaggio.

Non un viaggio qualunque, devo dire, ma una vera avventura, e un’esperienza che ha aperto la porta a tante riflessioni. Non si torna mai a casa identici a quando si è partiti, e nel mio caso non sono stati solo l’abbronzatura o i capelli schiariti dal sole a fare la differenza. Per cominciare, questo viaggio è stata una boccata d’aria, veramente. L’aliseo che ha sospinto le nostre vele verso isole stupende, ha portato via con sè il freddo delle notti di lavoro dello scorso dicembre e in generale ha portato aria pulita, nuova. Io, l’Orso e tre amici siamo partiti subito dopo Natale per le Isole Sopravento Meridionali, nel mar dei Caraibi.

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Sembra un nome da mappa del tesoro dei pirati, e in effetti lo è; non avevo idea dell’esistenza di Grenada, Saint Vincent e le Grendadines prima che l’Orso me ne parlasse entusiasta come di un paradiso per la vela, ispirato dai video fantastici di una coppia di ragazzi svedesi che, fortunati loro, stanno facendo il giro del mondo in barca e condividono il tutto su YouTube.

Come sempre, non ci piace fare le cose facili (o meglio, ufficialmete “ci piace il brivido”, la realtà è che è una questione di budget!) e per arrivare là abbiamo fatto quattro scali: per l’esattezza, un aperitivo a Torino, una corsa nell’aeroporto di Madrid, una passeggiata sulla neve con meno dodici gradi a Chicago, una colazione all’alba su Ocean Drive a Miami. Al ritorno idem, con tanti security control in tanti aeroporti diversi, tanti taxi e tanti Huber, e un hamburger di mezzanotte in un vero, trisunto, american diner di Boston. Tutti ci hanno che siamo completamente pazzi, ma a conti fatti è stato quasi divertente!

All’arrivo a Grenada ci aspettava il quinto dell’equipaggio, un amico che è cresciuto a due passi da casa nostra e che adesso abita e lavora a Dublino. L’inizio è lento, come ad ogni noleggio: si sale in barca, si sistemano le cabine, e, la parte più divertente, si va a fare cambusa. Si riempiono come minimo due carrelli, immaginando già aperitivi al tramonto e colazioni in pozzetto. Al market di Grenada siamo gli unici bianchi e mi piace sbirciare nei carrelli dei locali: il mio entusiasmo è decollato quando mi sono trovata davanti, fra le altre cose, un enorme cesto di avocado ” local” grossi come meloni, per non parlare della cioccolata biologica prodotta qui, sull’isola. E poi, si fa il breefing, e buon vento…si parte per Saint George, la baia ideale dove passare la sera del 31 dicembre per vedere i fuochi d’artificio prima di crollare. L’augurio per il 2018 è stato che possa essere ricco di viaggi come questo!

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Durante questa vera e propria avventura in mare ho riso molto, moltissimo, ho dimenticato per giorni interi di avere una casa dall’altra parte del mondo, assorbita completamente da quello che mi circondava. Mi sono abbandonata ai ritmi della natura perché in mare è così facile svegliarsi quando sorge il sole e sentirsi i primi fortunatissimi a godersi un bagno, mangiare quando si ha fame, senza orologio, e preparare cibo semplice e veloce da condividere. La sera non importa accendere nessuna luce, quando la luna è piena: dopo cena qualcuno ha bevuto troppo rum e già dorme, più spesso si parla, soprattutto dei viaggi già fatti o da fare, mentre si guardano le stelle e ci si stupisce di quanto sembrino vicine. Questi piccoli rituali si ripetono ad ogni veleggiata, seppure in mari diversi e lontanissimi fra loro, ed è un piacere introdurli a chi viaggia in barca con noi per la prima volta. In barca si diventa una piccola famiglia e ho condiviso tutto con i miei compagni di viaggio,  alcuni una certezza su cui contare, altri una novità assoluta, e mi sono stupita ancora di quanto possiamo essere mutevoli e adattabili, di quando questo sia un pregio.

Il mare ha sempre molto da insegnare anche ai naviganti esperti, non smette mai di ricordarti con quanto rispetto ti devi rivolgere a lui. Il primo giorno di navigazione abbiamo incontrato una tempesta con quattro metri di onda e un bel rovescio tropicale, e nonostante ormai sappia che la nausea passa (alla fine, più che vomitare…) e che la barca non affonda, realizzare di essere solo un pezzo di legno insignificante circondato da muri d’acqua, un corpo sballottato in una cabina in mezzo all’oceano Atlantico, può mandare fuori di testa. Ho avuto paura, quella paura irrazionale che sale dalla pancia e ti fa tornare una bambina che avrebbe bisogno di una abbraccio.

…ma questo è stato un piccolo momento di cui raccontare sorridendo una volta tornati a casa, perché il paradiso che ci ha accolti subito dopo ci ha fatto dimenticare ogni timore. La quiete dopo la tempesta, si dice, e nel nostro caso è stato proprio così.

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Sandy Island

Grenada, Sandy Island, Carriacou, Union Island, Saint Vincent, Mayreau, Petite Martinique, Maupion: tante piccole isole, come una manciata di sassolini messi in fila da qualcuno in mezzo al mar dei Caraibi, alcune abitate e altre solo minuscoli atolli ricoperti di sabbia bianca, palme da cocco e una vegetazione da cui ti aspetteresti di veder sbucare Jack Sparrow.

IMG_20180106_104211 Petit Tobac

Abbiamo visto luoghi di grande bellezza e vissuto un’immersione in una natura splendida: abbiamo seguito i pellicani in volo per capire dov’era meglio gettare la traina per pescare, abbiamo attraversato con il dinghy (il tender lì lo chiamano così) una laguna di mangrovie, nuotato in piccoli giardini subacquei con coralli e pesci colorati, incontrato qualche manta elegante durante lo snorkeling, stelle marine giganti, raccolto enormi conchiglie da mettersi all’orecchio per ascoltare le storie del mare.

C’è un luogo in particolare che desideravamo  vedere e che mi ha letteralmente fatta tremare per l’emozione: Tobago Keys. Si tratta di un gruppetto di isole disabitate, protette dal reef, dove l’acqua è di un azzurro irreale, e dove si può nuotare con le tartarughe marine. Nessuno sforzo, nessuna caccia: basta tuffarsi dalla barca e aguzzare la vista, nuotare con calma fino alla riva per incontrare e osservare da vicino queste splendide creature mentre scivolano leggere e raggiungono la superficie per respirare.  è un vero santuario, un luogo da visitare con la gratitudine e il rispetto di chi proviene da un’altra dimensione.

La luce dei Caraibi è strana, mutevole, e un attimo prima ti acceca facendo risplendere il celeste e il verde, e subito dopo ti lascia davanti ad un paesaggio filtrato di seppia, quando una delle tante nuvole passeggere oscura il sole e guardi il mare controluce.

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Piove a brevi rovesci quasi tutti i giorni, e il bucato non asciuga mai, a volte un acquazzone notturno ti sveglia se hai lasciato l’oblò aperto.

Adattarsi, adeguarsi, dicevo. Grenada e le Grenadines non sono località molto turistiche, e restano a tutti gli effetti un paese del terzo mondo, dove i naviganti non possono contare sulle comodità di un porto: non parlo di lussi, ma banalmente di una doccia più accurata, acqua dolce per il bucato, poter pulire a fondo sopra e sotto coperta senza dondolare.

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Bucato a bordo 

Ma in definitiva al Mare non importa se hai i capelli in disordine, non noterà cosa indossi, e lasciare indietro tanti condizionamenti tipici della nostra vita a casa è un bel modo per sentirsi liberi.

Gli abitanti delle isole vivono in modo semplice, sono decisamente rilassati. Il mare è la loro autostrada, e sfrecciano a bordo di piccole barche a motore di tutti i colori, le stesse che si affiancano ai catamarani degli stranieri  per vendere ghiaccio, pesce, magliette o sponsorizzare uno dei tanti locali dei pescatori di aragoste, sulle spiagge.

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 Tobago Cays

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Mayreau

Non abbiamo avuto molte occasioni di entrare in contatto con questo popolo dalle origini africane che qui è stato trapiantato a forza e sfruttato per secoli dai colonizzatori bianchi. Non mi sono stupita, i definitiva, se i locali non riservano una particolare ospitalità agli stranieri. Forse la durezza che ho percepito deriva non solo da un comprensibile antico rancore ma anche dal fatto che finita la stagione dei turisti, vengono lasciati a fare i conti con gli uragani, spesso a vedere distrutte e dover ricostruire le loro case, le loro barche, a volte le loro vite.

Le nostre soste a terra sono state brevi e quasi sempre per rifornimenti, ma si può provare a socializzare: c’è chi ti frega clamorosamente, tu, sciocco bianco da spennare, e ti vende un pesce al triplo del prezzo, ma anche chi si dimostra accogliente e ti regala un “frutto stella”, o aggiunge un paio di manghi maturi alla tua spesa di frutta e verdura.

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Al mercato di frutta e verdura a Clifton, Union Island

 

A terra non manca mai un po’ di musica reggae  soprattutto di domenica,  quando i pescherecci sono a riposo, ormeggiati nelle baie più riparate, e gli uomini giocano a domino al bar, in uno scenario non molto diverso da quello delle partite a carte nelle nostre case del popolo.

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Ci sono poi delle belle sorprese, come scendere a terra certi di trovare un p

osto dove mangiare qualcosa e trovarsi a camminare in una cittadina deserta e buia con solo qualche cane randagio, per poi entrare in quello che sembra il cortile di una casa, certo non di un locale. Non una luce, non un’insegna: “è stato il profumo a guidarci fino qui”, abbiamo detto al proprietario di questo ristorantino, che all’inizio ci ha risposto “ragazzi, mi dispiace, non ho più niente da cucinarvi per cena” ma si è illuminato subito quando ci siamo ricordati di quello che avevamo sulla barca, nel frigo. “Ci penso io, portatemi tutto, intanto vi porto da bere”.

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E mentre aspettiamo che il pesce si cuocia sulla brace, ci godiamo questo posto incredibile, che non comparirà mai su nessun Tripadvisor, e che per questo resterà unico e prezioso: direttamente sulla sabbia, una tettoia, un tavolo, una cucina da campeggio, un’amaca, una pila di noci di cocco, la luna piena; a tavola con noi due sorelle bionde,americane, una che vive in Texas, l’altra in Alaska, che si incontrano in un bel posto di mare una volta l’anno ; una coppia di vecchi signori del Maine, figli del flower power, che hanno una fattoria biologica dove allevano le pecore e immediatamente ci fanno venire l’ispirazione per un prossimo viaggio. Lei fa marmellate e colora la lana con tinte naturali, lui fa Babbo Natale per i bambini di questa cittadina caraibica, ogni volta che vengono qui, in dicembre, ormai da venticinque anni. E quando finalmente il pesce è pronto, l’uomo sorridente che ci ha cucinato la cena si siede a mangiare con noi e ci parla della sua vita, ci consiglia il suo posto preferito per un bagno, ci dice che a lui non piace avere sempre il locale pieno, “apro quando mi va, altrimenti…troppo stress, a me piace rilassarmi sulla mia amaca, qualche volta”. Incontri del genere valgono il viaggio, o no?

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E infine, dopo la spensieratezza, dopo lo stupore e la gratitudine per la bellezza che ho potuto incontrare, questo viaggio mi ha portata a riflessioni amare che meriterebbero un post a parte (ma non voglio metterci altri sei mesi!) : non mi sarei mai aspettata di trovare, qui, in un paradiso del genere, i tristi segni della globalizzazione e dell’inquinamento che porta con sé. La Coca Cola è arrivata ovunque. Accanto alle bancarelle di frutta e uova fresche si trovano gli stessi market che vendono in tutto il mondo lo stesso cibo confezionato, bottiglie, lattine, e tanta, troppa plastica. La stessa plastica che qualche volta abbiamo trovato su spiagge paradiso, che abbiamo visto spesso buttata ai cigli delle strade o bruciata, in falò, dalle ragazze del luogo. Nelle Grenadines non ci sono sistemi di smaltimento dei rifiuti, non si può nemmeno immaginare di fare riciclaggio, e  se si viene qui da ospiti è doveroso non lasciare nessuna traccia del proprio passaggio, fare davvero di tutto per vivere secondo natura, qui dove questo non è più possibile nemmeno per chi ci abita.

Questo viaggio ha lasciato profondi segni dentro di me, e ogni giorno penso a quelle spiagge dove insieme alle conchiglie finiscono tante bottiglie di plastica. Ogni giorno so che uno dei miei, dei nostri rifiuti potrebbe finire dentro la pancia della tartaruga a fianco della quale ho nuotato, e capisco che anche che io posso fare qualcosa, che una mia scelta può salvare una vita.

Posso scegliere di bere soltanto l’acqua del rubinetto, di non usare più i cotton fioc, di non usare cannucce, piatti e bicchieri di plastica, di acquistare sfuso, di usare solo borse della spesa in tessuto, di avere altre mille piccole accortezze nella vita di tutti i giorni, in generale di ridurre, di riutilizzare, di riciclare. E questo non sarà utopia, non sarà una goccia nel mare, perché se posso impedire che anche una sola bottiglia di plastica finisca nel suo Oceano, forse quella splendida tartaruga marina continuerà a nuotare.

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