Hallelujah

Si può essere fatti così male che se fuori piove a dirotto e sei già non proprio scintillante di felicità ti ci crogioli e anzi, cerchi di fare il possibile per tirar fuori la tristezza che se ne sta sepolta sul fondo di un ventricolo? Stamattina appena ho acceso internet ho letto della morte di Leonard Cohen, che ci ha accompagnati per molte miglia l’estate scorsa, quando le highway degli States erano davvero troppo lunghe, che non puoi parlare tutto il tempo o finisci la voce e le cose interessanti da dire…e allora si sta in silenzio e si ascolta Suzanne che ti strazia e ti fa sentire ancora più un minuscolo puntino dentro una scatola di ferraglia a ruote, in quell’immensità di cielo e nuvole smisurate che corrono sopra un deserto di arbusti e conigli selvatici. Mille cieli sopra un continente, come dice Guccini.

Non ascolto più musica come prima, l’ho lasciata ad aspettarmi nella mia vecchia camera arancione, dai miei, dove ci sono i miei poster e i miei biglietti dei concerti, il mio unico autografo appeso allo specchio. L’ascolto, distrattamente alla radio mentre guido, mentre faccio le pulizie in casa, ma quelle ore di montagna russa emotiva che si realizzavano quando ero sola con le mie auricolari l’ho lasciata al liceo. Non sono brava a cogliere le occasioni inaspettate, ma stasera andrò ad un concerto che avevo proprio bypassato; il biglietto l’ho comprato due giorni fa in uno slancio di entusiasmo, perché…perché no? Ci andrò con due quasi sconosciute molto più grandi di me ma che mi hanno fatto fare delle grandi risate in questi altri sei mesi di formazione.

Lei è cambiata, io anche, ma lei per me è tornare a casa. La musica resta, la musica è di tutti. Leonard Cohen l’ha reinterpretato Jeff Buckley, perfino Faber, e io ho imparato ad amarlo attraverso una voce di donna che mi accompagnava nel sonno, la sera. E stasera, cara Elisa, spero proprio che comincerai con questa.

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