Il mio Giappone: le pazzie di Tokyo

Durante il nostro viaggio in Polinesia abbiamo incontrato e condiviso una settimana di barca a vela con due veri viaggiatori, una coppia che ha consacrato la propria vita a girare il mondo. Dopo l’iniziale ammirazione per questi due signori molto più grandi di noi che conservavano la voglia di ripartire per visitare luoghi impossibili, mi sono resa conto che c’era qualcosa che non mi convinceva nel loro modo di vivere il viaggio.

Se viaggiare diventa collezionare timbri sul passaporto, se diventa fare una classifica fra i fondali più belli al mondo per paragonare fra loro Bora Bora e le Maldive, tanto vale smettere. Spero che mi sarà possibile viaggiare molto, ma mai, mai, mai, voglio smettere di stupirmi. Mai, voglio tornare a casa con la sensazione di aver ormai visto tutto.

Quindi, ecco una delle cose più belle che mi sono portata a casa dal Giappone: la voglia di tornarci. Ho la fortissima sensazione che il mio viaggio sia rimasto incompiuto, perché adesso che gli alberi si colorano penso alle preziose foglie degli aceri giapponesi che già in agosto viravano al rosso e che ora saranno infuocate, adesso che comincia a farsi freddo immagino i vapori di un onsen termale all’aperto in cui immergermi. E l’hanami: io che amo tanto la primavera, che ci sono nata, posso non avere voglia di tornare là per impazzire sotto una pioggia di petali di ciliegio sakura?

Descrivere il Giappone è difficile, ecco perché sto così temporeggiando nella scrittura di questo e di altri post dedicati. è un paese così lontano da noi, soprattutto culturalmente, che non posso pensare di averlo capito abbastanza in dieci giorni; non possiamo dire di aver veramente iniziato a conoscere l’Oriente, perché il Giappone rappresenta un mondo a se stante che mi ha affascinata, sorpresa, lasciata perplessa allo stesso tempo.

Abbiamo incontrato una cultura che affonda le radici in tradizioni millenarie sconosciute a noi occidentali che ne siamo incuriositi ma non le capiamo, forse banalizziamo tutto pensando che si riduca alla cerimonia del tè e alle armature dei samurai, e prendiamo per bizzarra tutta quella formalità, gli inchini, gli arigatò interminabili, senza pensare che noi, per loro, siamo a nostra volta così incomprensibili. Se si cerca di comunicare vediamo il divario aumentare, perché anche quel meraviglioso inglese che permette di capirsi quasi sempre qui è inutilizzabile, ma i giapponesi non sembrano preoccuparsene. Non so quante volte io e l’Orso avremo messo in imbarazzo questi poveri tokyonesi mangiando onigiri per strada, a volte addirittura baciandoci in pubblico, ma l’hanno nascosto bene dietro un sorriso di circostanza, perfino quando al conbini volevo far cadere i miei yen direttamente nella mano del ragazzo alla cassa, e non nell’apposito piattino. Vogliamo parlare delle mascherine? Io credevo che fossero tutti dei fobici igienisti e invece le portano perché starnutire in faccia a qualcuno procurerebbe loro un disonore incalcolabile. Qui anche sedersi per la prima volta sul wc è un’esperienza del tutto assurda, fra getti d’acqua inaspettati e musichette!

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Nel mio ricordo del Giappone resterà sempre una profonda divisione: Tokyo da un lato, e tutto il resto dall’altro, quindi il mio racconto inizierà proprio da qui, stranamente da quello che mi è piaciuto di meno, ma per la prima volta torno da un viaggio con un entusiasmo forse più maturo, consapevole che anche nel luogo che ti sembra meno nelle tue corde troverai sicuramente qualcosa che ti stupirà, se saprai arricchirlo di contenuti.

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Hachiko…e il suo amico

Forse passare gli ultimi quattro giorni in Giappone ammirando qualche altra bellezza naturalistica avrebbe fatto più per noi, ma la curiosità di andare a vedere con i nostri occhi tutte le pazzie di cui avevamo letto sulla guida è stata troppo forte. Il primo impatto con questa metropoli è stato tosto, dopo più di una settimana trascorsa visitando templi o tranquilli paesini di montagna.

Per prima cosa, Tokyo è un enorme labirinto sotterraneo di linee della metro, gestite da tre compagnie diverse…e  andare da lì a là può rivelarsi un’impresa.

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Sempre che si sia riusciti a comprarsi il biglietto, perché la macchinetta apposita sembra un ordigno sul punto di esplodere finché non vedi il testo “English”, l’unico in caratteri occidentali, e ti senti in salvo. All’inizio sembra di essere finiti in un videogioco, con una sfida da superare per passare al livello successivo: adesso che abbiamo il biglietto, quale linea prendere? E a quale fermata scendere? Nomi assurdi che suonano tutti uguali, ma per fortuna ho potuto contare sul senso dell’orientamento dell’Orso che ha familiarizzato con tutto questo in un battibaleno prima che mi mettessi a gridare in una crisi di panico.

Non chiedetemi niente sulla geografia di questa città, cosa sta a nord e cosa sta a sud perché sono ancora confusa…so che sono riuscita a tornare a casa, e mi basta.

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Sui mezzi pubblici ci sarebbe da scrivere un post dedicato, perché anche qui gli aneddoti si sprecano: sono efficientissimi come raccontano, e come sempre sono stati un ottimo punto di osservazione della gente che aspetta lo Shinkansen in religioso silenzio lungo le linee tracciate sul binario, e con altrettanto ordine sale dopo che una squadra di netturbini accelerati ha reso il treno scintillante e profumato in meno di un minuto, pronto per ripartire alla velocità della luce spaccando il secondo. Certo, non siamo riusciti a non ridere ogni volta che abbiamo visto il controllore del treno inchinarsi per rendere i suoi omaggi all’intera carrozza.

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Tornando a Tokyo, una volta usciti all’aperto la nuova missione è stata non farsi travolgere dai fiumi di camicie bianche che si incontrano quando scatta il verde agli incroci, gli stessi impiegati o uomini d’affari, impeccabili al mattino, che si ritrovavano sfiniti la sera in metropolitana, con la testa immersa nel loro smartphone, a cui si mescolano signore con l’ombrellino per proteggersi dal sole.

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Shibuya, l’incrocio più affollato del Giappone…o del mondo?

Se è vero che la cultura tradizionale giapponese con la sua sobrietà e compostezza e  è difesa con orgoglio in molti aspetti della vita moderna, questo non vale in alcuni quartieri di Tokyo in cui si realizza l’espressione del trash più trash che ha dato vita ad una nuova subcultura

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Una maid ad Akihabara

Non riesco a spiegarmi come si sia passati dall’eleganza dei kimono di seta alla cultura pop dei maid café di Akihabara, ma da lì sono voluta scappare di corsa. Anche la zona vicino al tempio di Asakusa diventa un caos di bancarelle così diverso dalla profonda pace che si respira a Kyoto o nelle altre città storiche, che qui non regna nemmeno alla sera, quando la folla si sposta nelle sale di pachinko e nei karaoke.

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Asakusa, Senso-ji

 Ho vissuto un vero e proprio shock culturale quando ci siamo trovati ad Harajuku il sabato pomeriggio, in un caleidoscopio di insegne colorate, un misto fra Disneyland e Las Vegas, cercando di aprirsi un varco fra file di ragazzine che sembravano uscite da un manga.

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Harajuku, Takeshita Dori

In questo luogo surreale è nato un nuovo tipo di consumismo, se possibile più alienante di quello occidentale perché ruota attorno a oggetti del tutto inutili (si può dire cazzate?), si va da negozi che vendono caramelle rosa a tonnellate, giochi elettronici di ogni tipo, abbigliamento da cosplay e statuette di Sailor Moon da collezione.

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Ok, da piccola avrei ucciso per queste…

davAdesso invece preferisco questo!

 In questi quartieri affollati i giovanissimi che camminano in gruppo sono vestiti in modi improbabili perfino per il carnevale, le gonnelline da scolaretta su calze bianche si mescolano con lo stile gothic lolita…il tutto con un sottofondo musicale che sembra quello di un videogame o una compilation di sigle di anime.

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Akihabara

Non sono riuscita a capire se questi ragazzini otaku cerchino di crearsi una realtà parallela o se quella sia la loro realtà; in entrambi i casi sono rimasta molto sdubbiata.

In generale Tokyo non mi ha emozionata. Certo, lì ho assaggiato il più buon sushi di sempre, ma l’ho trovata una città senz’anima. Per fortuna è stata un’ottima base per spostarci a Nikko e Kamakura, per concludere l’immersione fra templi e giardini iniziata a Kyoto, dove ho lasciato un pezzo di cuore… e per questo servirà un post dedicato, anche due.

 Continua…

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