Ma nouvelle France: infine, Montreal

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belvedere del Mont Royal, vista della città

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Place Ville Marie, vista dalla nostra camera

Montreal non è “Parigi senza il fuso orario”, come secondo le guide dicono gli americani: come nel resto del Québec si parla francese come prima lingua, si mangiano moules et frites, ma l’atmosfera è del tutto diversa da quella europea.

Montreal è una città “americana” di persone che on friday night vanno per locali, odora perfino d’America su ogni marciapiede.

Devo dire che al primo impatto non è stato amore, forse per il tempo grigio con cui abbiamo iniziato a conoscerla, ma piano piano ho iniziato ad apprezzarla e prima di ripartire anche ad orientarmi nella sua scacchiera di strade. Soprattutto, all’inizio mi sono sentita un po’ spaesata nell’hotel superlusso col letto kingsize, la vasca e l’usciere che ti apre la porta (che certo non abbiamo scelto noi!) dove alloggiavamo insieme ai partecipanti alla conferenza: “Orso, che ci facciamo qui, dove sono gli alberi??”

Posto comunque che Montreal è una bella città, a mio parere non ha una personalità così spiccata , una particolare atmosfera che la renda unica.

Però un tratto distintivo ce l’ha, forse lo stesso di tante grandi città, e secondo me sono le fusioni, per tornare a qualche post fa. è particolare la commistione di antico e nuovo, nell’architettura: è detta “la città dei cento campanili” perché ospita veramente un gran numero di chiese, la maggior parte in stile neogotico che emergono letteralmente nello spazio fra i grattacieli che le circondano!

 

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Fra queste abbiamo visitato Notre Dame de Québec :io non sono una grande estimatrice del genere quindi posso solo riportare qualche impressione, ma dentro c’è veramente una bellissima luce.

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Vieux Port: i giardini realizzati lungo la vecchia ferrovia della zona portuale, le guglie di Notre Dame in lontananza

Nella zona del Vieux Port, invece, si trovano i vecchi magazzini a mattoncini che hanno ancora i segni delle scritte pubblicitarie degli anni ‘30, sullo sfondo di un camminamento pedonale.

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Nel quartiere delle banche, fra i palazzoni di vetro c’è il McGill College, uno dei più antichi e ambiti di Montreal: proprio lì ha studiato C., la mia amica Quebecoise, che prima di partire, meglio di un’agenzia di viaggi, ci ha scritto un elenco dei must della città da non perdere assolutamente. Grande!

Abbiamo attraversato il parco antistante e sembra di trovarsi a in Inghilterra, con edifici antichi, un po’ come m’immagino Oxford (e Hogwarts!), e tanti scoiattoli.

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Ho sorriso un po’ incrociando i miei coetanei canadesi che studiano lì. Quella non è solo la loro università, ma la loro casa. Passeggiano in gruppo con un bicchierone di caffè in una mano e i libri nell’altra,qualcuno indossa la felpa dell’università…quanto siamo diversi!
Da lì siamo saliti sulla collina del Mont Royal dove si trova il giardino più grande della città. Lì abbiamo fatto una lunga passeggiata con grande fortuna quanto a meteo visto che abbiamo beccato la giornata autunnale più calda dell’ultimo secolo, se il francese non m’inganna! Si poteva addirittura stare senza cappotto!

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la discesa dal Mont Royal

è un bel punto d’osservazione della gente di Montreal: c’è chi fa jogging con il cane, ciclisti, neomamme col passeggino e mormoni con uno strano cappello, abbiamo anche assistito ad una lezione di educazioni fisica all’aperto.

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Quando si pensa a Montreal, però, non bisogna considerare solo quella “di sopra”, ma anche quella “di sotto”! La pianta della città ha un corrispettivo sotterraneo rappresentato dall’Underground City, dove oltre alla metro e alle stazioni ferroviarie c’è una vera e propria città sotterranea: in effetti quando fa molto freddo la vita si trasferisce da rue Sheerbroke e Ste. Catherine alle gallerie commerciali con negozi e ristoranti , ma anche cinema, perfino una chiesa!Siamo arrivati fino al belvedere per avere una vista panoramica della città e poi siamo scesi nel quartiere residenziale: qui, guardandosi intorno, s’ intuiscono già le molte sfaccettature culturali di questa città.

Ho passato molto tempo a gironzolare là sotto mentre l’Orso era alla sua conferenza. A noi, che veniamo da una piccola città in cui il centro storico si sta svuotando dalle attività causa crisi, questi mostri fanno sempre un po’ impressione, un misto fra la meraviglia e il rifiuto : da una parte mi dico “cavolo, qui si può acquistare di tutto, quanti bei negozi ci sono!”, ma poi arriva quel tarlo che mi ronzava in testa anche a New York e  penso “ ma è veramente necessario tutto questo? A cosa servono non meno di dieci fast food orientali nel giro di pochi metri e una caffetteria a ogni angolo?“

E mi viene da pensare che in un mondo consumistico noi siamo comunque una piccola isola felice…

Durante la nostra permanenza abbiamo visitato anche il Biodome e due musei, devo dire con un po’ di sforzo perché (che vergogna!) io e l’Orso non ci entriamo molto volentieri, preferiamo gironzolare all’aperto.

Il Biodome si trova nella zona del Parc Olimpique: è una grande cupola sotto la quale sono riprodotti diversi ecosistemi con flora e fauna. A me gli animali in cattività fanno sempre pensare che non è quello il loro posto e che dire che è un sistema di salvaguardia per la biodiversità mi sembra molto paraculo ipocrita, anche se non ci sono sbarre in questa struttura e gli animali gironzolano liberi con molto spazio a disposizione. A parte questo ho cercato di cercare qualche lato positivo e mi sono seduta fra i bambini ad ascoltare la spiegazione sulla vita dei pinguini…

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Al Museé des Beaux Artes era in esposizione una collezione privata di dipinti impressionisti, soprattutto tele non convenzionali: Degas non dipingeva solo ballerine e Renoir non ritraeva solo momenti di vita sociale parigina…


Orso
: “Allora, la cartina ce l’hai…hai capito bene il percorso?”Poi, qualche giorno dopo il nostro arrivo sono tornata da sola nel quartiere del Vieux Port per visitare il Musée de Pointe à Calliere aspettando che l’Orso facesse il suo dovere d’ingegnere cervellone:

Leti: “Sì…dai, fidati, non è lontano…

Orso: “ Ricordati che il telefono non funziona e non possiamo comunicare, io alle cinque avrò finito e ci vediamo in hotel…ti prego, non ti perdere. Allora, cosa devi fare se ti perdi?”
Leti: “Uffaaa!! entro in un bar e chiedo informazioni…”
Orso: “Bene. Oppure?”
Leti:”Chiamo un taxi e mi faccio portare all’hotel…”
Orso: “Mhh…speriamo bene…”

So che state pensando: “ma che fidanzato rompiballe s’è scelta, questa?”

Vi assicuro che anche se in questo frangente l’avrei fulminato le sue preoccupazioni non sono infondate: ormai è appurato che il mio gatto ha più senso dell’orientamento di me, riesco a perdermi anche nei corridoi all’università e l’Orso aveva una paura folle che andassi a finire chissà dove se non c’era lui a fare da guida!

Torniamo a Pointe à Calliere…

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Lì sono stati ritrovati i resti archeologici dei primi insediamenti a Montreal ed è diventato un museo di storia locale che ospita in particolare una mostra sull’immigrazione, a ricordare che Montreal è una città multietnica, multiculturale. In effetti in Québec ho avuto spesso l’impressione di trovarmi in una “terra di mezzo” in cui vive una cultura ibrida.

La cultura originaria dei popoli nativi che abitavano lì è stata spazzata via dalla colonizzazione, resta soltanto in qualche piccola comunità e nei nomi: lo stesso Québec forse deriva da una parola indigena che significa “stretto”, riferito all’estuario del San Lorenzo. è una terra che a noi europei ricorda l’America ma a quanto pare agli americani ricorda l’Europa, eppure gli abitanti non si sentono né americani né europei ma hanno un forte senso d’appartenenza, non tanto al Canada quanto al Québec; su questo sfondo sono cresciute poi le comunità immigrate dall’oriente, da tutti i paesi d’Europa e anche dall’Italia, ed ognuna ha aggiunto qualcosa al bellissimo melting pot di culture che è evidente anche solo osservando la gente per strada o  le insegne dei negozi.

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bricchi e teiere di tutte le culture nel museo di Pointe à Calliere: ogni popolo ha i suoi simboli di convivialità, dalla moka italiana alla teiera giapponese : )

Oltre a questo, c’è una sensazione di grande benessere: il costo della vita sembra decisamente alto e i prezzi sono più cari dei nostri, perfino quelli dei musei, e sembrano radicate abitudini che noi riserviamo alle occasioni speciali, come mangiare fuori casa molto spesso.

A questo si associa anche una grande civiltà: abbiamo trovato persone molto gentili e disponibili, anche davanti al mio francese stentato, e come sempre quando viaggiamo, scatta il confronto fra noi e loro quanto a pulizia e rispetto per le regole, dalle toilettes pubbliche linde anche nel più sperduto paesino,alle autostrade perfette dove tutti vanno decisamente più piano che in Italia e non si vedono giochi da formula uno.

Beh, tornare a casa dopo aver visto tutto questo è stato come fare un lancio dalla Terra alla Luna… Spero che mia madre non sia stata l’unica lettrice del racconto e che possa essere d’ispirazione se qualcuno sta progettando una vacanza in Québec.

Bellissima avventura, bellissimo viaggio! : )

Fine

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