Mauritius: in autobus

In quest’isola non si vive di turismo e per il turismo, e questa è stata una piacevole sorpresa. Sicuramente è una risorsa importante, ma non l’unica.

Questo ha messo anche a tacere la mia coscienza e le riserve che avevo riguardo un particolare importante della vacanza: il villaggio turistico. Dentro di me pensavo :” Ma non si potrebbe andare a dormire in qualche B&B gestito da gente del luogo? Non sarebbe più etico e rispettoso?”.

In realtà la presenza dei turisti e delle strutture che li accolgono è ben armonizzata con tutto il resto, non si ha l’impressione che la natura sia stata danneggiata per far spazio ai resort (che fra l’altro, non sono dei luna park ma perlopiù bellissimi giardini verdi vicino al mare), nè che la popolazione sia stata in qualche modo usurpata della propria terra.

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Insomma, l’isola non è diventata un avamposto dove i ricchi occidentali vanno a passare vacanze chic,  è pienamente in mano ai suoi abitanti ed stato bellissimo osservarne le abitudini di vita, o almeno cominciare ad intuirle.

Ad esempio durante la prima passeggiata siamo stati noi a mescolarci ai mauritiani sul mare, nella pineta di Flic en Flac: per tradizione la domenica le famiglie fanno il pic nic e il bagno alla splendida spiaggia libera.Lì abbiamo spesso pranzato anche noi durante la settimana, alle bancarelle di street food, con spaghettini orientali (“mines”) o cocco fresco aperto sul momento.

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Per spostarsi a Mauritius i turisti hanno due opzioni: il taxi o l’autobus. Abbiamo optato per l’autobus, sempre, ed è stata una delle esperienze più belle che abbiamo fatto.

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I mezzi pubblici sono sempre un meraviglioso punto di osservazione della gente, tanto più qui, dove tutto è così diverso da ogni altro paese che ho visitato.

Con poche rupie ci si siede sui sedili consumati di vecchi bus ed è un’immersione che fa immaginare una quotidianità  che mi incuriosisce a dismisura: salgono ragazze dai capelli nerissimi e lucidi, forse di origini indiane, oppure dai ricci stretti e fitti, le più africane, bambini in divisa scolastica che tornano a casa, una signora anziana avvolta nel sari con il bindi sulla fronte, profumi di incenso che si mischiano al sudore e alla crema solare. Qualche volta dagli altoparlanti arriva la musica della radio,una musica creola allegra che mette voglia alzarsi e di ballare lì, all’istante.


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Sul cruscotto dell’autista ci sono quasi sempre le statuette di Shiva e Parvati, e forse è grazie alla loro protezione che arriviamo a destinazione sempre indenni nonostante la guida spericolata.

A volte siamo gli unici turisti, gli unici bianchi.

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Dai finestrini vorrei fotografare tutto quello che vedo, anche se non faccio mai in tempo perché l’autobus inchioda per far salire i passeggeri e riparte in corsa.

Vicino alla fermata ci sono spesso negozietti di alimentari che vendono frutta, roti e samosa direttamente sulla strada. Le case sono basse e molto semplici, coloratissime circondate da piccoli giardini con alberi di banano e siepi di bouganville, che spesso ospitano un tempietto hindu. All’inizio mi stupisco perché molti cancelli sono decorati da una svastika,  poi però mi ricordo che per questa cultura non ha alcun significato nazistoide ma simboleggia il sole.  Stese ad asciugare al sole vediamo le stoffe colorate in cui le donne si avvolgono.

Poi si esce dall’abitato e ci si trova in mezzo alle piantagioni di canna da zucchero…

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Continua…

 

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