Preso in prestito

 

Negli ultimi mesi ha chiuso la mia libreria preferita, nel centro città.

Era l’unico negozio che restava aperto anche la sera dopo cena, ed era bello entrare per prendere un caffé durante il solito giretto, magari senza comperare niente, ma curiosare, scegliere a caso col dito una Lonely Planet e dire “andiamo qui!”, farsi consigliare un libro da un’amica, fare un grattino alla micia tigrata che si appisolava sui titoli in offerta…

Mi sono accorta di aver ritrovato la lettrice che è in me ultimamente: mi sono riappropriata di quello spazio prima di andare a dormire che ho sempre dedicato alla lettura da quando ricordo, ma non sono una grande compratrice di libri. Come avevo già raccontato mi piace molto l’idea della condivisione, di sfogliare pagine che hanno già parlato a qualcun altro: per questo, gli scaffali della Biblioteca per me hanno un gran fascino.

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Ogni libro potrebbe raccontare qualcosa di chi lo ha scelto: l’odore di una stazione con un treno in ritardo, il disordine di penne e mazzi di chiavi nella borsa che lo ha trasportato, passi, voci di chiacchiere e strade, qualche lacrima di rimmel versata sulle sue pagine o fragorose risate. Anche per questo ho deciso che le mie prossime letture saranno libri presi in prestito, così da rendere il libro molto di più di un semplice oggetto di carta, ma uno strumento dinamico che passa di mano in mano e che non finisce abbandonato su una mensola in casa una volta letto e amato, e magari mai più aperto.

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Se avete qualche titolo da consigliarmi, sparate pure!

Sul mio comodino insieme a forcine e orecchini adesso c’è questo libro con la copertina gialla che mi sta piacendo molto (e il film omonimo regge bene il confronto, per ora).

Continuo a conoscere Johnatan Safran Foer, uno scrittore che mi ha stupita per la sua genialità già con Molto forte, incredibilmente vicino.

Come si può cercare di trovare una logica dietro a ciò per cui non c’è spiegazione? Una mattina qualunque un aereo viene dirottato contro un grattacielo che crolla in un attimo come un castello di carte portandosi via padri, madri e figli, gente qualunque.

Come fa un bambino a capire tutto questo, come può accettare una bara vuota anche se la sua immaginazione viaggia veloce non fa che fare invenzioni?

E un bollitore per il té? Con il beccuccio che, all’uscita del vapore, si apre e si chiude come una bocca e sibila belle melodie, o recita Shakespeare, o semplicemente si scompiscia dal ridere con me? Potrei inventare un bollitore che legge con la voce di papà, così riuscirei ad addormentarmi, o magari un intero servizio di bollitori che cantano il ritornello di Yellow Submarine, una canzone dei Beatles, che mi piacciono perché l’entomologia è una delle mie raisons d’ètre, un’espressione francese che conosco.”

Seguiamo il percorso di Oskar che nel tentativo di dare senso al giorno più brutto segue l’unica traccia che gli è rimasta del padre, scomparso nell’attentato alle Torri Gemelle, una ricerca fra i distretti di New York per riempire finalmente quel vuoto.

Una chiave. Ma “a New York ci sono circa 18 serrature per ogni abitante, per un totale di 162 milioni di serrature, che è un abisso di serrature“.

Molto forte, incredibilmente vicino-dal film

Ci ho trovato dentro frammenti di una tristezza che non ha bisogno di tante parole per farsi sentire, ma l’ho trovata una lettura emozionante, mai pesante né banale, a tratti divertente. è la storia di un bambino, scritta straordinariamente le parole di un bambino, e le soluzioni che l’autore adopera per presentarci la storia, o meglio le storie di questo libro, sono innovative e sorprendenti.

Uno dei più belli letti ultimamente, davvero consigliato!

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