Tornata. Forse. Si vedrà.
Da poco, da un viaggio, il terzo di questo 2018, di cui non so se racconterò su questo spazio, visto che fra le mie tante bozze ci sono ancora storie di veleggiate dall’altra parte del mondo che aspettano di uscire.
Tornata fra queste righe per un tempo ancora da definirsi, perché forse passeranno altri otto mesi prima che mi decida a rimettermi davanti al computer, soprattutto con la giusta ispirazione.
Tornata in una casa che a volte, dopo mesi, mi sembra ancora il grand hotel, ma che ormai odora del mio incenso e di noi, a passare una domenica di pisolini e finestre accostate con i miei gatti, prima di riprendere i ritmi del lavoro.
Tornata a piante da annaffiare che hanno tante foglie in più di quando sono partita e rendono bella questa grande casa più di qualsiasi arredamento di design.
Tornata all’orto, di cui ero certa che avrei scritto post su post e invece no, perché le mani o stanno nella terra o stanno sulla tastiera del pc.
Il nostro orto pazzo, un orto che se lo vedessero i miei bisnonni storcerebbero il naso, perché è fatto nei cassoni rialzati, un po’stile giardino urbano, e perché invece di esserci file ordinate di verdure ci sono pomodori gialli che crescono accanto a melanzane e cetrioli, con qualche cipolla e insalata a riempire gli spazi vuoti.
Il nostro orto che per la prima volta ci ha visti impegnati ed appassionati in una cosa che piace a entrambi, io e l’Orso, a versare sacchi di terriccio, spargere semi, strappare le erbacce e annaffiare le piantine appena messe a dimora.
In generale, prendersi cura.
Lo scolapasta rosso, smaltato, quello che per tre anni è stato appeso nella cucina della Soffitta solo “per bellezza”, l’avevo comprato proprio perché sapevo che un giorno ci sarebbero state verdure da raccogliere, e al nostro ritorno dalla croazia l’abbiamo riempito di pomodori e friggitelli.
Gli zucchini sono stati una spina nel cuore, seminati con cura in semenzaio a primavera, messi nella terra a inizio giugno, esplosi in una fioritura splendida e poi stecchiti, gialli e flosci, al primo sole di luglio, senza averci dato nemmeno un frutto.
Nemmeno il secondo tentativo, con le piantine comprate già grandi, è andato a buon fine.
Io che controllo se la luna è buona e chiedo ai miei nonni, scetticissimi, qual è il momento migliore per piantare questo o quello; io che trovo un vivaio in pieno centro e torno a casa con il cestino della bici pieno di aromatiche; io che mi esalto quando scopro che esiste un pomodorino “black cherry” .
Queste sono tante istantanee dei mesi passati che mi fanno sorridere, perché mai avrei pensato che fra le mie “balzanate” ci sarebbe stata anche quella di voler coltivare un orto in città, in un giardino superstite fra i condomini.
è strano, è nuovo per me, e mi piace molto.
Anche questo agosto è nuovo. è un mese che quando studiavo all’università odiavo perché mentre tutti facevano settimane e settimane di mare io preparavo gli esami per settembre, un mese che è stato tanto atteso e sempre troppo breve quando ci siamo trovati a trascorrerlo dall’altra parte del mondo per “i viaggioni” e allo stesso tempo infinito quando ho deciso di passarlo in città per lavorare.
Quest’anno trascorre lento, mi offre lunghissimi weekend di riposo e mi riserva dolcezze inaspettate, come tornare a casa dall’ambulatorio e trovare l’Orso, in ferie, ad aspettarmi; dormire a finestra aperta e sentire gli uccellini, al risveglio, un po’ come se mi trovassi ancora in campagna dai miei genitori.
C’è qualche serata trascorsa con gli amici nel nostro giardino o semplicemente noi due, sull’amaca o sul divano di vimini, a leggere al fresco, e qualche scappata veloce a cercare il fresco in montagna o sull’argine di un fiume.
Sono tornata, non so se per un attimo o per mesi, non so se a raccontare di viaggi, di pane e torte come una volta o di niente, di piccole e semplici gioie che incontro nelle mie giornate e che ho voglia di ritrovare qui, quando ne ho bisogno.
Si vedrà.