United States: these are seven things

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Ecco sette cose che ho amato di questi incredibili Stati Uniti, o almeno della piccola ma enorme parte che ne abbiamo esplorato.

Uno

Le loro case, a noi, cresciuti con fin troppe serie tv americane, hanno fatto impazzire!

Cittadine di passaggio,in mezzo al niente, dove la strada che corre dritta è fiancheggiata da queste casette tutte uguali di colori tenui, con giardini ricchi di bouganville e ipomee : sono case di legno con il portico e la sedia a dondolo, il pickup parcheggiato nel vialetto laterale, la staccionata e la tipica cassetta della posta.

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Allo stesso modo mi hanno affascinata le dimore vittoriane di San Francisco, con bovindi e vetrate colorate, così eleganti e accoglienti, case da artisti…infatti in una delle tante abitava Janis Joplin.

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La nostra casa sono stati diversi motel in perfetto stile Norman Bates, anonimi ma con letti super comodi, e le abitazioni di alcuni host di Airbnb: una di queste, una casina circondata dai banani, deliziosamente decorata dal proprietario artigiano.

 

Due

La strada.

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Stringhe di asfalto infinite che chissà dove ti porteranno, così dritte che ti devi solo ricordare di tenere il piede sull’acceleratore. La strada è stata la nostra porta d’accesso ad un nuovo mondo che per quante foto avessimo visto prima ci ha lasciati continuamente a bocca aperta, a partire dai primi chilometri in Arizona, mentre ancora increduli di avercela fatta abbiamo guidato fra i cactus saguaro.

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Tutto quello che abbiamo visto è stato esagerato: tanto spazio da non vederne la fine, una sensazione di vertigine che lasciava solo un sorriso beato. Non puoi pretendere di passare dal deserto all’alta montagna percorrendo qualche decina di miglia…bene, in America puoi : la stessa route può portarti da una distesa arida dove crescono solo arbusti a montagne coperte da foreste di abeti, per ridiscendere a pianure con fattorie e tornare di nuovo al deserto, stavolta di roccia, a volte rossa, a volte lunare.

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Sulla strada abbiamo fatto incontri interessanti, il primo con i motociclisti : capelli bianchi e lunghi, bandana, teschi o dragoni tatuati sulle braccia abbronzate, giacca in pelle e un fare amichevole che contrasta del tutto con l’aspetto da duri. Uomini liberi che con la loro compagna arrampicata dietro percorrono in Harley Davidson migliaia di chilometri per il gusto della strada.

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Questo gruppo è restato con una gomma a terra appena fuori dalla Monument Valley  (quale miglior posto?!), abbiamo barattato con loro una bottiglia d’acqua per una foto…perché erano troppo belli!

 

Tre

Amo la loro lingua, così diretta, agile, che in pochi fonemi arriva dritta al dunque. Amo la possibilità di capirsi quasi in ogni circostanza, di poter risolvere gli imprevisti più o meno facilmente grazie a questo fantastico inglese che è diventato l’idioma di tutti.

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Amo quel loro slang a vocali aperte in cui le parole si fondono, quel loro salutarti come se ti conoscessero da sempre quando entri in un negozio o in un caffé, “hey guys, how are you doing?” che diventa una parola unica. E amo certe espressioni che mi suonano così affettuose e che ci hanno rivolto perlopiù dei perfetti sconosciuti : “sleep tight” (alla lettera “dormite stretti”…che non può che voler dire “bene”!), “take care”, “have a safe travel”, “enjoy” (“goditela”: la giornata, la tua cena, la tua vita).

Amo il loro entusiasmo nel domandati da dove vieni e le parole che usano per manifestarlo, il loro “great, awesome, cool” quando rispondi “Italy “…il buffo è che noi sogniamo l’America, loro Firenze e Roma.

 

Quattro

Anche se può sembrare assurdo detto da un’italiana, amo il loro cibo.

Certo, “se mangiano così tutti i giorni campano poco”, abbiamo pensato spesso davanti alle porzioni enormi di cibo molto elaborato, ma amo la loro capacità di rivisitare e contaminare qualsiasi cosa per creare una loro cucina: mettere il ghiaccio nel tè verde giapponese e l’ananas sulla pizza.

Amo i caffè delle piccole cittadine dove il menù è scritto su una lavagnetta, allegri e pieni di gente del posto,  dove abbiamo fatto colazioni criminali con i pancake, i waffel e i french toast, il refill gratuito del caffè.

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Amo i burrito messicani e il margarita che mi ha fatto ridere di niente, i piatti cinesi, tahilandesi, giapponesi che abbiamo assaggiato per ovviare ai soliti (ma comunque buonissimi) hamburger e onion rings.

Amo il caffelatte di Starbucks da bere passeggiando e il tè freddo unsweetened nella tanica da quattro litri (non scherzo!) che abbiamo comprato dal benzinaio navajo, la old fashioned lemonade e la pannocchia bollita presa per cena a una bancarella. Amo le loro pizze pepperoni, grosse tre volte una nostra pizza, ma da mettere al centro del tavolo e condividere fra amici.

Ok, una volta a casa smaniavo per i pomodori crudi, ma concedersi questo è stato un un godurioso lasciarsi andare.

 

Cinque

Gli animali. Semplicemente passeggiano dentro e fuori dai parchi nazionali ne abbiamo incontrati molti: per primi i cervi, a volte in branco, e se ci siamo fermati per fotografarli sono rimasti tranquilli a brucare. Non che non ne avessi mai visto uno cervo, ma non lo avevo mai avuto così vicino da poterci guardare negli occhi per molti secondi.

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“Qui potrebbe passare Bip Bip inseguito da Willy il coyote”, abbiamo pensato tante volte guidando fra le rocce rosse, alla vista di massi enormi appoggiati in equilibrio precario…

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E quando meno ce lo aspettavamo ecco proprio un coyote che corre a tutta velocità!

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Conigli cottontale, scoiattoli e cipmunks ci hanno fatto compagnia in tutti i parchi naturali, ma i più simpatici sono stati questi ciccioni!

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Sulla costa della California abbiamo visto foche, leoni ed elefanti marini che proprio non mi aspettavo di trovare qui, al caldo: se ne stanno in piena libertà vicino ai porti, scivolano fra le barche a vela e dietro i pescherecci, oppure vivono in colonie e si crogiolano al sole sulle spiagge del Big Sur.

Sei

La Natura: questo andrebbe scritto con un carattere grosso dieci volte tutti gli altri, perché se ho amato tutto il resto non trovo facilmente le parole per descrivere cosa ha suscitato in me viaggiare e vivere nell’incredibile Natura che gli Stati Uniti ci hanno presentato. Scommetto che all’idea degli States molti vanno col pensiero alle grandi città e non realizzano quanto ci sia di incontaminato e selvaggio.

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Mono Lake

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Yosemite Valley

Non scherzo se vi dico che molto spesso io e l’Orso ci siamo guardati e ci siamo scoperti con i lucciconi davanti a paesaggi così magnifici da togliere il fiato.

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Monument Valley

Una foto non può bastare a descrivere cosa si prova nell’essere circondati dal niente a trecentosessanta gradi e non trovare un limite, la fine di quello spazio immenso, in nessuna delle direzioni. Non puoi fare altro che restartene lì in silenzio, rapito da tanta bellezza, e imprimerla nella tua memoria.

Puoi solo fermarti, smettere di camminare e accorgerti che senza più il rumore dei tuoi passi riesci ad ascoltare il silenzio: in America l’ho fatto veramente, per la prima volta. Un silenzio che ti lascia smarrito, ti fa dubitare di esistere. Tutto è maestoso, antico,  e ti senti piccolo, senti che un soffio di vento potrebbe farti volare via.

 

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Grand Canyon

Guardare non basta. Ho dovuto cercare di sentire con più di un senso alla volta per appropriarmi di tutto quello che mi circondava, per fondermici e farne parte anch’io: a Antelope Canyon ho sentito la necessità di toccare le rocce ruvide e consumate dalla pioggia, a Yosemite di abbracciare le sequoie, a Bryce mi sono sporcata le mani di fango arancione perché solo calpestare quella terra non mi bastava.

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Ci  si sente continuamente al cospetto di qualcosa che non si può vedere ma di cui si percepisce l’energia, e dal profondo sale e scuote una forte gratitudine: grazie per essere qui, per essere insieme, per essere una minuscola parte di tutto questo.

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 Dead Horse Point

Sette

I tipi: non necessariamente  strani, ma soprattutto passeggiando nelle grandi città abbiamo incrociato una serie di tipi interessanti, quelle persone così particolari che ti incuriosiscono e ti restano impresse non meno del luogo in cui le hai incontrate.

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A San Francisco ogni quartiere ci è sembrato un piccolo mondo con la sua popolazione: Mission è il quartiere ispanico, per strada si incontrano uomini  abbronzati con i baffoni e la sera nei locali suonano i mariachi; Height Hashbury sembra rimasto indietro nel tempo agli anni del flower power, e fra i negozi di dischi e i murales colorati sostano i musicisti, i capelloni, i tatuati, i piercingati.

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Sugli autobus ci siamo seduti accanto a nonnine orientali, bianche e sorridenti, forse dirette a chinatown per la sepsa, piccole e dall’apparenza così fragile da potersi spezzare. Siamo stati a Berkeley, dove i pochi studenti non in vacanza che abbiamo incrociato indossavano la t-shirt del campus, o la felpa, o il cappello.

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Anche a Los Angeles abbiamo osservato un bel numero di “tipi”: a ferragosto siamo stati in spiaggia, e a Santa Monica abbiamo fatto il bagno nel Pacifico insieme a famiglie di messicani con otto figli, letteralmente accampate con viveri e gazebo.

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Ci siamo poi spostati a Venice, un posto che non può non mettere allegria e dove il “sono pazzi” ha raggiunto la massima frequenza: ci sono le bancarelle, quelle di artisti e quelle dei  palm readers, i body builders unti e luccicanti della Muscle Beach e i giocatori di basket con braccia lunghe un chilometro.

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Abbiamo passato un’ora buona incantati dagli acrobati dello skateboard che sembravano restare attaccati alla loro tavola grazie ad una forza magnetica nonostante la gravità.

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Poco distante, sotto un tendone, una manifestazione religiosa su cui non ci siamo soffermati, ma poco dopo ci siamo visti arrivare con un cartellone in spalla questo tipo un po’ fulminato, dedito ad opere di conversione.

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Infine, alloggiare con Airbnb è stata un’ottima idea per conoscere meglio chi vive negli States. A Hollywood i nostri guest erano due ragazzi svedesi, a L.A. da due anni, con un concetto di week end che l’Orso ha del tutto approvato: quando abbiamo capito che la causa dei “damn it” e “shit” ripetuti con tanto slancio era una partita ai videogiochi lunga tutto un pomeriggio ci siamo fatti grosse risate!

 

 

 

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