Vinili

 

Ssshhh… non ditelo a nessuno…questa mattina me la prendo libera.

Fino alle dieci son stata sotto le coperte, svegliata ogni tanto dal campanello dei vicini o dai rumori della strada, in quell’ovatta buia in cui ti rigiri nel letto per alzarti ma ogni nuova posizione che trovi ti sembra ancor più confortevole.

Oggi inizia un mese a me caro, da sempre: da bambini, quale festa c’è, più bella del Natale? Poi, quando si cresce e un po’ di magia scompare, resta comunque la voglia di ricrearla. In dicembre ho conosciuto l’Orso, in dicembre mi avvolgo con una sciarpa colorata e tiro fuori i cappelli di lana che mi fanno buffa e un po’ folletto, mi piace pensare. In dicembre si va nella terra di confine dove parlano emiliano e vendono i tortellini, in un giorno di pioggia lungo la strada del Reno che sale in una gola dove le case sembrano inghiottite e consumate dall’umidità, dalla nebbia e dal fiume che scorre accanto a loro.  Sono luoghi di una tristezza infinita per me che amo il sole, ma in qualche modo conquistano.

Si passa  da Pavana, e sì, questa è proprio la stagione di Guccini, quel vecchio bianco che se vai a trovare con una bottiglia di vino ti fa entrare in casa, dicono, e che smetterà di cantare, dice lui. Da qualche settimana il giradischi di mio padre è tornato in funzione: quello è un oggetto magico per lui, lo vedo da sempre dalla delicatezza con cui maneggia i vinili come  tesori preziosissimi e rari che cadendo potrebbero andare in mille frantumi, forse perché l’ha comprato da ragazzo,con uno dei primi stipendi.  Forse perché fin da piccola è stato per me uno di quegli oggetti che non potevo toccare, quindi di gran fascino, forse perché anch’io ho la stessa venerazione per i dischi e per anni non sono uscita di casa senza il lettore cd nella borsa,forse è per questo che oggi anch’io  vedo quasi qualcosa di sacro dietro questo strumento capace di creare musica.

Foto di OZKY42 da Flickr

Stamani, come ho visto fare al mio babbo tanti sabato mattina da quando sono nata, ho estratto uno di quei dischi che sembrano fatti di liquirizia haribo dalla sua custodia, dalla velina di carta, poi, tendendolo fra il pollice e il mignolo l’ho appoggiato sul piatto, con la stessa cura che impiega lui. Il più bello è l’istante di silenzio che precede la prima traccia in cui la puntina si abbassa a sfiorare il vinile, e poi la musica comincia a fluire perfetta nonostante qualche graffio o granello di polvere, e la casa ha un’altra luce, come se ormai dopo anni riconoscesse tutte quelle canzoni.

 

E queste, arrotate, che parlano di luoghi vicinissimi che conosco, un po’ malinconiche, non potrei ascoltarle in un’atra stagione, ma sono perfette per queste mattine in cui piove a dirotto, il cielo è grigio e il freddo fa camminare più veloce per strada.

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