Il mio Giappone: spiritualità

Quando abbiamo iniziato a cercare una meta che potesse abbinarsi alla Polinesia per il nostro viaggio di nozze, il Giappone è giunto inaspettato, una sera a cena : “Perché non andate in Giappone?”. Eh, perché non ci andiamo? mi sono chiesta. Così fuori dagli schemi che realisticamente non lo avevo mai inserito nella mia top ten dei luoghi da visitare alla prima occasione (troppo lontano, troppo caro…troppo strano!) ma nel mio immaginario aveva sempre portato il fascino di un luogo remoto, quasi impenetrabile. Ricordo che molti anni fa rimasi così colpita dal film di “Memorie di una Geisha” (uno dei pochi casi in cui il film supera il libro, secondo me) per le atmosfere eleganti che introducevano ad un mondo di gesti lenti e rituali, che il sogno di vederlo con i miei occhi c’è sempre stato.

Ecco che nello scambio di email con l’agenzia che ci ha aiutati a trovare gli alloggi (loro) abbiamo chiesto espressamente che ci facessero vedere il Giappone tradizionale, in cui conoscere storia e cultura, piuttosto che la modernità.

Quindi, Kyoto, Nara, Kanazawa, Takayama, i paesini di montagna della prefettura di Gifu, Nikko, Kamakura.

Kyoto è una grande città in cui l’antico e il moderno sono perfettamente armonizzati, e qui l’attrazione principale sono i templi: sono tanti, più o meno imponenti, più o meno conosciuti, e ad uno sguardo superficiale potrebbero sembrare tutti uguali, ma sono felice di non essere caduta nella trappola del “visto uno, visti tutti”, perché in ognuno di essi abbiamo trovato qualcosa che ci ha colpiti.

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Varcata la porta del primo tempio ho subito capito che i nostri giorni a Kyoto sarebbero stati meravigliosi. Quello che mi ha incantata fin da subito, che mi ha fatta sentire a casa, è stato capire che  qui la divinità si ricerca nella Natura. Un tempio non è solo un edificio costruito dalle mani dell’uomo ma una piccola oasi di pace, a volte un enorme giardino pieno di laghetti in cui nuotano le carpe koi, ninfee e splendidi alberi, dove la Natura viene ammirata, curata, celebrata.

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Nei templi buddisti si entra scalzi, si cammina sui tatami, stuoie di bambù che ricoprono completamente il pavimento, che scricchiolano sotto i piedi e profumano di legno, di incenso.

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Ci si siede, e si sta a guardare.

 Alcuni giardini raccontano una storia ben precisa attraverso pietre, piccole aiuole ed alberi che sembrano messi lì casualmente ma che ad un occhio esperto sono ricchi di significati perché in realtà ogni roccia ha un ruolo ed un messaggio da comunicare, è lì per un preciso motivo: è lo zen.

La vitalità dirompente della Natura è spesso indirizzata con gentilezza, l’uomo la guida affinché i rami di un albero non crescano in maniera selvaggia ma prendano una forma e una direzione. Questa cura per il verde ha ovviamente caratteristiche tutte nipponiche: in quale altro luogo vi aspettereste di trovare una squadra di giardinieri che rimuove le foglie secche dal terreno con le pinzette?

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Altri giardini sono più rigogliosi, e camminandoci dentro si incontrano aceri, corsi d’acqua e ponticelli, e perfino bambù giganti.

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Nei templi shintoisti si entra dopo un rituale di purificazione: all’entrata c’è sempre una fontana, e con un lungo cucchiaio si riempie d’acqua la mano destra e ci si lava il viso, si sciacqua la bocca e infine si lavano entrambe le mani.

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All’interno c’è tanto colore, molto rosso, e si può lasciare una preghiera scritta su una delle apposite tavolette in legno, oppure fare un’offerta in monete e suonare la campana per essere sicuri che le divinità abbiano ricevuta.

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Sul buddismo e sullo shintoismo non mi addentro, perché nonostante qualche riminiscenza del liceo e qualche trafiletto interessante della Lonely Planet non sono riuscita molto bene a districarmi fra le tante varianti che molto spesso si intrecciano fra loro e si fondono in una religione giapponese tutta particolare.

Da Kyoto si raggiunge facilmente Nara, la città del Buddha gigante famosa soprattutto per i cervi che ormai gironzolano liberi senza alcuna paura dell’uomo nell’enorme parco del complesso di templi, pronti a divorare qualsiasi cosa gli si offra, compresa la vostra mappa.

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Ma la meraviglia che ci ha emozionati di più è Fushimi-inari: non è solo un tempio shintoista, è un lungo camminamento sotto un colonnato di tori, un percorso di preghiera  in salita intervallato da tempietti vegliati dalle volpi, animali sacri e simbolo di ricchezza, fertilità.

 

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Abbiamo camminato in questo posto splendido al tramonto, e a parte la folla di turisti armati di smartphone all’inizio del percorso, man mano che ci allontanavamo l’abbiamo trovato quasi deserto.

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Restavamo noi, fra i giochi di luce che il sole creava con quel meraviglioso color arancio lacca, gli eucalipto, e le cicale con il loro fracasso assordante: è stato magico, il momento più bello vissuto in Giappone.

Se a Tokyo ho sentito la mancanza di questa pace, da lì con il treno ci siamo spostati a Nikko e Kamakura per due gite di un giorno: in queste due cittadine abbiamo visitato alcuni fra i templi più belli di tutto il viaggio, e come ho sempre sostenuto, i più belli non sono completamente opera dell’uomo.

A Nikko ci siamo allontanati dall’abitato per raggiungere Kanmangafuchi, una fresca gola in cui scorre un fiume, un angolo nascosto lontano dall’afa di agosto. I custodi di questo splendido luogo sono cento Buddha di pietra seduti a gambe incrociate. è stata una visione forte, che mi ha trasmesso un gran senso di pace : statue piccole, alcune ormai ridotte ad un mucchietto di sassi, sulla testa un cappello rosso fatto all’uncinetto, il segno di gratitudine di qualcuno.

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Sono rimasta profondamente colpita da quei volti dai lineamenti semplici talvolta ricoperti di muschio, tutti diversi, in meditazione, un tutt’uno con la Natura, così intensi che mi aspettavo che le palpebre di roccia abbassate di Buddha potessero schiudersi da un momento all’altro.

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Budda è stata una presenza constante nel nostro viaggio giapponese, ed è interessante notare quanto una figura rappresentata sempre come mite possa evocare un’aura di forza, come nel caso del grande Buddha di Kamakura la cui espressione mi ha colpita profondamene: viene da chiedersi quali pensieri risuonino nella mente di questo gigante immobile comodamente seduto sopra un delicato fiore di loto.

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Sempre a Kamakura, si trova un’altro dei templi-giardino più belli, il Meigetsu-in, il tempio della Luna.

Della Luna, perché sulla parete di fondo della sua sala da te un’ enorme apertura circolare ricorda proprio una luna piena; della Luna perché questo splendido giardino ha così tante fioriture che cambia aspetto ogni mese, ad ogni ciclo lunare; infatti, durante la nostra visita abbiamo incontrato questo piccolo e pacifico Buddha che portava con sé un cuscino di fiori bianchi.

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Non so quanto pensiero buddista sia ancora radicato in questo popolo con cui mi sono approcciata per soli dieci giorni, quanto ne sia rimasto ad influenzare comportamenti ed usanze che noi definiamo semplicemente come strane, accanto alla modernità e alla tecnologia che avanza inarrestabile.

Sicuramente io e i giapponesi abbiamo in comune lo stesso modo di celebrare la divinità: cercarla fra il verde e ammirarne le diverse facce, stagione dopo stagione.

 

 

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