Roba da studenti

Durante le mie prime settimane di tirocinio in ospedale ho potuto osservare attentamente gli esemplari di dottore che mi circondavano, tanto per capire verso quali abissi mi sto dirigendo. C’è la Doc Nervosetta che ancora continua a chiederti” com’è che ti chiami, scusa?” , la Doc Giovane che forse si ricorda ancora com’è essere uno studente spaesato, sempre disponibile e che a pelle  ti piace, la Ragazza Erasmus che chiacchiera con te con un accento adorabile e che vorresti come amica…

Per il resto, è un costante sentirsi la testa vuota, intervallato da momenti in cui sfoderi un’intraprendenza del tutto nuova che dà quasi alla testa, giustificata solo da quella gabbana bianca (come dice mia nonna) che hai addosso. Il camice ti autorizza ad entrare di prepotenza nello spazio personale di perfetti sconosciuti, a indagare la loro intimità quotidiana. Col passare dei giorni s’instaura un senso di vicinanza non facile da spiegare ma che è la cosa più bella che ho sperimentato in queste settimane.

Per la serie “vita da dottori”, da una prima semplicissima analisi appare evidente che al momento del giuramento d’Ippocrate si verifica un profondo rimodellamento dei circuiti neuronali in quelle aree cerebrali che regolano le necessità più ancestrali dell’uomo: questi individui non sono esseri umani. La Doc Capo che saluto quando me ne vado la ritrovo esattamente lì dove l’avevo lasciata la mattina dopo (sarà tornata a casa o ha un suo sarcofago personale in stanza medici?); i dottori  non mangiano, non bevono, tanto meno fanno pipì, solo raramente sbadigliano. L’unico genere di conforto di cui fanno uso è il caffè, quello schifosissimo della macchinetta, e si alimentano a modo loro, al limite con qualche fetta biscottata rinsecchita.

Sarà mai che una volta sulla strada della carriera medica si presenterà anche per me la speranza di diventare bella e snella? Ce la farò a diventare una specie di  cyborg, io, che dopo una tazzona di cereali e una moka da due seccata da sola, alle 9 ho già una voragine nello stomaco che mi distrae contorcendosi durante giro visite e mi servirebbero gli stuzzicadenti per reggere le palpebre?

La vana speranza è quella che finalmente lo stomaco si silenzi e riesca a reggere una giornata intera con un tè e tre marie come narrano le leggende riguardo la Primario dei piani alti.

Un metro di giudizio per selezionare i futuri specializzandini da schiavizzare dev’essere senz’altro questo: il perfetto studente rampante del quinto non solo ha sempre la risposta pronta e conosce per filo e per segno la storia clinica di ogni paziente ultraottantenne  da quando era in fasce, ma non si siede mai, neanche quando attorno a lui ha tre sedie vuote e gli edemi declivi, e soprattutto, se gli offri un pezzetto di colomba lasciata in stanza medici da quelli del turno di Pasqua risponde “no, grazie”.

Per ora i miei cromosomi conservano ancora una certa quota di dna umano (casomai marziano), quindi mi spiego perché dopo settimane riesco ancora a passare spesso piuttosto inosservata: gli Alieni non mi riconoscono come una loro simile!!

Insomma, l’ora del pranzo arriva comunque e io divorerei qualunque cosa.

Babbo: “avrete una mensa no?”

Io: “UAHUAHUAH, sì, certo, e io frequento l’università di Stoccolma…” Urge un portapranzo!

Quando mi sento particolarmente in vena mi porto un’insalata da casa…ma come la mettiamo quando non c’è il tempo di sedersi con tutta calma e usare forchetta e coltello?

Pane arabo“cinque e cinque”

è buonissimo e ci vogliono pochi minuti a prepararlo!!

A Livorno, il “cinque e cinque” è un panino con la cecina, o meglio torta. Non so se i puristi apprezzerebbero  questa versione un po’ arabeggiante ma è diventato il mio panino da università preferito, tutto vegetale per cambiare un po’ e molto più di soddisfazione del solito pomodoro e mozzarella!

Per la cecina

  • farina di ceci, qualche cucchiaio
  • spezie per cous cous (io le avevo già miscelate: cumino, pepe, zenzero…), un cucchaino
  • olio e.v.o, q.b
  • sale, q.b

Per la maionese vegetale

  • olio di girasole
  • latte di soia
  • erbe aromatiche a piacere (coriandolo fresco, aneto…)

…io uso questa ricetta.

  • pane arabo tipo pita, uno (si può fare in casa così, oppure si compra. io lo trovo al Lidl e ne tengo una scorta nel congelatore  .)
  • pomodoro, insalata…altre verdure a piacere
  1. Mescolare la farina di ceci con un filo d’olio, un pizzico di sale, le spezie e un po’ d’acqua tiepida per formare una pastella densa. Far riposare.
  2. Oliare leggermente una padella antiaderente. Versare la pastella nella padella come per formare un disco spesso, grande quanto la pita. Far cuocere molto bene la cecina da entrambi i lati.
  3. Tagliare a fettine il pomodoro e riempire il pane arabo con la cecina tagliata in due metà, le verdure e qualche cucchiaino di maionese di soia, poi chiuderlo.

DSC01431

ecco il mio pranzo da tirocinio! La foto è quel che è  ma…ho un giallo da leggere, adesso, c’ho fretta!

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