Penelope e i gatti della Grecia

è quasi il tramonto, sul nostro secondo giorno di navigazione. Il programma per domani è salpare all’alba e fare un po’ di miglia già in mattinata per raggiungere Zacinto, dove vogliamo vedere la Spiaggia del Relitto, per poi risalire in serata su Cefalonia, e restare lì per la notte.

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L’alba, in direzione Zacinto 

Stasera, a sorpresa, ci siamo fermati in questa caletta, una gola di mare fra due terre affrontate che sembra un rifugio da pirati. Da una parte c’è un’isoletta sconosciuta, la piccola Pera Pigadi, dal’altra Itaca.

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Pera Pigadi, Itaca

I nostri compagni per la notte sono una barca che batte bandiera francese e un bellissimo bialbero dalle vele sconosciute. L’ormeggio non è stato semplice, perché oltre all’ancora abbiamo dovuto assicurare alcune cime a terra, agli scogli, per essere sicuri di non ballare tutta la notte. Adesso siamo finalmente fermi e prima di rilassarsi, prima di preparare l’aperitivo di rito e godersi questo luogo selvaggio, voglio scendere a terra, perché ho già visto una capra seguita dal suo piccolo che saltellava sugli scogli, al nostro arrivo. Voglio assolutamente andare ad incontrarle e fare qualche foto.

Per mia sorpresa, quando scendiamo dal tender, sul piccolo molo in cemento non troviamo le capre ma una ciotola con un biglietto, ben protetto dal mare da una busta trasparente. Dice, in inglese: “Per i naviganti: per favore, lasciate un po’ di acqua fresca per la micia”. Capiamo il senso del messaggio poco dopo, quando vediamo una gattina smilza e spelacchiata che si fa il bagno a pochi metri da noi. è una totale sorpresa trovarla qui, su questo isolotto disabitato.

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Mi aspetto che sia selvatica e di vederla scappare via, spaventata dalla nostra presenza, e invece quando le passo accanto capisco che è estremamente affettuosa, è lei ad avvicinarsi per strusciarsi alle mie gambe e fare le fusa, si rotola per terra per essere coccolata  come qualsiasi altro gatto domestico.  Non è certo bella, ha il pelo sciupato, bruciato dal sole, ed è denutrita, così piccola per essere una gatta adulta. Risaltano i suoi occhi enormi, verdi contornati di nero, così intensi che ho paura a guardarli. Penso a quanto sarebbe bella rimessa in sesto da cibo e antipulci, se qualcuno se ne prendesse cura. Mi faccio un sacco di domande sulla sua origine, perché certo non può essere arrivata qui a nuoto: penso alla bravata di qualche equipaggio di velisti ubriachi, oppure è del pastore che ha portato qui anche le capre, perché Pera Pigadi viene chiamata anche “isola dei topi”.

A questa gattina naufraga, padrona dell’isola, ho dato subito un nome : è ovviamente Penelope.

Siamo suoi ospiti, di quest’isoletta conosce sicuramente ogni cespuglio, ogni tana, e ogni volta che la perdo di vista, eccola lì, a pochi passi da me. Mentre ci graffiamo cercando di farci strada fra gli sterpi lei si muove agile e ci cammina a fianco, continua a cercare la nostra mano per ricevere qualche carezza, come tutti i gatti del mondo quando cedono alle coccole degli umani.

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Facciamo qualche foto alla luce del tramonto, poi è ora del mojito e ci incamminiamo verso il molo. Penelope ovviamente ci segue. Vorrei portarla con noi e lasciarla al prossimo porto dove troverebbe cibo in abbondanza: ogni volta che scendiamo ci sono gatti al sole, gatti che dormono nelle fioriere o all’ombra delle panchine, mentre lei qui è completamente sola.

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I gatti della Grecia non sono quei micioni lucidi e coccoloni che siamo abituati a vedere nelle nostre case, sono gatti da porto, vagabondi che tirano avanti a topi ed avanzi che i turisti condividono con loro quando piantonano le zampe dei tavolini…probabilmente all’ora di chiusura fanno la fila sul retro delle taverne.

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Immagino che l’alternativa siano le barche da pesca, all’alba. Questi accattoni di strada mi stanno simpatici, immagino fra di loro lotte di potere a graffiate per mantenere il controllo sul territorio dove si mangia meglio e più facilmente. Fanno una vita felice, senza legami, una vita da veri gatti di strada.

Arrivata al molo mi volto e mi accorgo che Penelope ha smesso di seguirci, si ferma sul muretto dove l’abbiamo incontrata e ricomincia a leccarsi, come se oltre ci fosse un confine invalicabile. La chiamo, torno a farle un’altra carezza, ma non viene con noi. Potrei prenderla in braccio e portarla sul tender, non protesterebbe, ma non sarebbe giusto. A terra forse sarebbe più al sicuro, ma non sarebbe più indipendente. Sarebbe una dei tanti, mentre qui è una Regina.

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Ecco che questa gattina randagia, abitante di un’isoletta sconosciuta vicino a Itaca, mi ha dato un’importante lezione sulla libertà. Il suo messaggio è chiaro: io resto qui, caccio le mie prede e mi riparo dal sole all’ombra delle rocce. E se qualche umano vorrà venire a farmi una carezza, io lo aspetto.

 

 

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