Lascia che le cose nuove accadano

Samhain. Halloween. Ognissanti.

Appollaiata sullo sgabello in cucina, quello su cui mi siedo per fare colazione, bevo il mio caffè.

I miei gatti sono due statue immobili, incantati da qualcosa fuori dalla finestra e osservano attenti attraverso la zanzariera. Magò chiacchiera con le tortore la mattina, Merlino invece prende le mie ginocchia come un comodo cuscino su cui fusare . Nonostante i buoni propositi non sono mai riuscita a lasciarli liberi sul tetto del terzo piano senza sentirmi precipitare. Dal vetro aperto arrivano lontani i rumori della strada : le auto, il treno dalla ferrovia poco lontana, e anche tanti uccelli pronti a migrare. Da qui riesco a vedere qualche albero rosso fuoco che mi ricorda quanto è splendido questo autunno. Forse abitare ai piani alti mi piace così tanto proprio perché sento di avere un punto di vista privilegiato, mi sento al sicuro, e dalle mie finestre si vedono pleniluni e arcobaleni.

La nostra casa: la Soffitta è nostra, ma in questi tre anni l’ho vissuta in particolare io. è qui che ho preparato gli ultimi esami e passato nottate a scrivere la tesi, sullo stesso tavolo a cui abbiamo cenato in due ogni sera e pranzato in quindici il giorno di Natale. è qui che sono tornata ogni giorno per farmi un’insalata e correre in palestra dopo il tirocinio in ospedale. Qui siamo tornati una sera di luglio, vestiti da sposi e felici come non mai, coperti di chicchi di riso.

Qui siamo diventati una famiglia, ma qui ho passato molto tempo da sola, in un guscio che racchiude tante piccole cose tanto insignificanti per chiunque quanto enormi per me, perché per me sono casa. Questa piccola cucina è il mio regno, e ne conosco gli odori : caffè dallo sportello di destra e spezie da quello di sinistra; ne conosco i tesori nascosti: una tavoletta di cioccolato che c’è sempre, da qualche parte nel cassetto della colazione; e ne conosco anche i limiti, perché quanti pani di marmo ho sfornato prima di familiarizzare con il forno!

In questi mesi di silenzio c’è stata spesso la voglia di raccontare di un grande cambiamento che mattone dopo mattone ha preso forma dall’altra parte della città: prima un gran cumulo ci calcinacci, adesso una casa, un’altra casa. Una bella casa.

Ho resistito a questo cambiamento per un anno intero, attaccandomi sempre più alle pareti accoglienti della mia mansarda man mano che nell’altra casa venivano buttati giù muri e aperte finestre. Abbiamo fatto progetti su come rivoluzionare una casa che diventasse perfetta per noi e l’abbiamo vista cambiare di settimana in settimana, ma una parte molto recalcitrante di me voleva chiudere gli occhi, come se tutto ciò riguardasse qualcun altro. Perché una casa nuova, che bisogno c’è?

Per mesi ho avuto una paura tremenda di quella casa. Così grande, così diversa dal nostro rifugio nascosto sui tetti, così in vista, come se ci fosse puntato sopra un riflettore. In tutto quello spazio ancora da immaginare ci sono aspettative troppo grandi per me che vorrei continuare a coccolarmi queste quattro stanze, e ogni volta che qualcuno mi chiedeva, molto più entusiasta di me “Allora, quando vi trasferirete?”, è stata una vera e propria coltellata. Dentro di me urlavo “Mai”.

è una paura difficile da capire per tutti, perfino per l’Orso che nella “casa nuova” è cresciuto. Per me sarà un nuovo inizio, per lui un ritorno.

Oggi è un momento di passaggio, di ricordo, in cui voglio festeggiare una casa che ha una grande memoria e che è quasi pronta ad accogliere altri passi, altre voci nelle sue stanze.

“Lascia che le cose nuove accadano” una frase che mi ha colpita come un dardo. Oggi sono pronta: non voglio più ostacolare questo cambiamento, ma lasciare che avvenga con naturalezza, così come all’estate segue l’autunno; le foglie, però, non diventano gialle da un giorno all’altro, cadono una ad una, lentamente, e così voglio fare io: lasciar andare poco alla volta.

Molto presto ci trasferiremo. La casa è tutt’altro che finita e ci saranno stanze vuote e lampadine penzolanti ancora per mesi, ma quello che mi ha aiutata enormemente è stato fare lì una piccola festa con i nostri amici più stretti, una specie di open day, prima ancora di abitarci…non l’avrei mai immaginato, ma è bastato davvero poco per sentirsi a casa.

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Un mazzolino di fiori gialli sulla vecchia stufa che apparteneva alla nonna dell’Orso. Una cassetta della frutta che diventa tavolino per l’aperitivo, hummus e verdure. Una buona pizza, come spesso abbiamo preparato in Soffitta. Una tavola colorata decorata con zucche e melograni. Sei sedie verniciate di giallo all’ultimo minuto. Un divano di recupero.

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Housewarming party, lo chiamano gli inglesi. Abbiamo portato nell’altra casa un po’del calore che in tre anni abbiamo saputo creare in Soffitta, l’affetto dei nostri amici, dei genitori che passano portando spumante e partono portando via scatoloni vuoti.

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Partire da qui per accorgersi che tutto cambierà ma resterà uguale, da un invito a pranzo proprio come abbiamo sempre amato fare in Soffitta, mi  rende un po’ meno estranea questa enorme nuova casa. La Soffitta è una casa che ho amato subito, con la pancia. L’altra, dovrò imparare ad amarla con la testa, con i miei tempi, e ce la farò.

 

 

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